Padiglione della Repubblica di Cuba
Isola di San Servolo
Caserma Cornoldi, Riva degli Schiavoni
Vernissage: Venerdì 3 giugno 2011
Date: 4 giugno-27 novembre 2011
Catalogo: Maretti Editore
segnalato da
labiennale.org
condiviso da numero civico rovereto
Alexandre Arrechea
CUBA MON AMOUR
Padiglione Repubblica di Cuba
54a Esposizione Internazionale d'Arte - La Biennale di Venezia
Scheda evento
Titolo mostra: Cuba mon amour
A cura di: Duccio Trombadori
Curatore aggiunto: Jorge Fernandez
Commissario: Miria Vicini
Assistente commissario: Ana Pedroso
Sedi: Isola di San Servolo
Caserma Cornoldi, Riva degli Schiavoni
Vernissage: Venerdì 3 giugno 2011
Date: dal 4 giugno al 27 novembre 2011
Catalogo: Maretti Editore
Artisti
Alexandre Arrechea
Alessandro Busci
Yoan Capote
Felipe Cardena
Duvier del Dago
Desiderio
Giorgio Ortona
Alessandro Papetti
Eduardo Ponjuán
CUBA MON AMOUR
Uomini, anni, vita, associati da memoria, speranza e amore. Con questa toccante eredità il nome di Cuba torna nell'immaginario di quanti in Italia nella seconda metà del XX secolo hanno apprezzato il coraggio del piccolo popolo latinoamericano messo duramente alla prova dal gigante USA per avere intrapreso una autonoma via di sviluppo, e ancora oggi è impegnato ad assicurare a sé stesso le forme di un avvenire politico sovrano e indipendente.
Dopo una assenza durata quasi mezzo secolo Cuba torna alla Biennale di Venezia forte della sua tradizione di eccellenti presenze visive. Anche quest'anno gli artisti invitati associano fantasia, testimonianza critica e innovazione alla altezza del multiforme eclettismo contemporaneo.
«Cuba mon amour»: ecco davanti allo sguardo del visitatore l'opera misurata di quattro artisti di diversa generazione, ma tutti giovanissimi per la freschezza di messaggio che la loro espressività è capace di evocare.
Come brillante, giocoso, vagamente inquieto è l'oscillare delle grandi trottole colorate realizzate da Alexandre Arrechea (n.1970) sopra cui vorticano, elaborati nel minimo dettaglio, i modelli di grandi costruzionisimbolodellà «età del denaro» in Cuba e negli USA: tanto Bacardi (anni '30) che Somelian (negli anni '50) per segnalare l'effimero splendore de l'Avana pre Castro, e l'Empire State Building, ancora oggi il grattacielo più alto del mondo dopo il tragico crollo delle Twin Towers l'11 settembre di dieci anni fa.
Arrechea gioca con i templi della civiltà moderna, e ne parodizza la monumentalità evocando il profilo di un mondo grandioso e stabile solo in apparenza, come fragile e precaria è la « bigness » metropolitana. Alla installazione descrittiva di Arrechea si accompagnano le meditazioni ideologico-concettuali di Eduardo Ponjuan (n.1956), che allestisce, con forza simbolica e allusiva alla « mistica » del capitale finanziario, una colonna di « kilos » cubani in trazione e contrapposizione ad una altra moneta (il « peso ») della Cuba degli anni Trenta. Figlio del procedimento dada e concettuale, Ponjuàn ama produrre effetti stranianti come quando adotta la bussola in funzione di molteplici significati (dall'incrocio Nord-Sud, a quello di centro e periferia).
Grazie ad una grande installazione che divora l'ambiente, agrumando corpi e diramando una rete di filamenti che distribuiscono i vettori di forza della immagine, il più giovane Duvier Del Dago Fernández (n.1976) sviluppa la sua immagine neocostruttivista (e molto concreta) del mondo in movimento in una considerazione ciclica dello spazio e del tempo misurati dal caso e dalla più alta definizione tecnologica contemporanea. Il rapporto tra caso e necessità, la fissazione dei punti di « catastrofe » nel processo biofisico sono affascinanti metafore del tempo in cui viviamo e, quasi senza controllo, ne siamo totalmente coinvolti.
A questa fantasmagorica e pregnante lettura del cosmo fornita da Del Dago si accompagnano le sculture di stampo surreale e poverista di Yoan Capote (n.1977) che traccia il segno di un autoritratto parodistico dove un cubo di cemento, a guisa di corpo, poggia su arti di scheletro umano legati da una base anch'essa di cemento ; e accanto ad un simile reperto dell'organico che si fa inorganico, e pur sempre emette il segnale della vita, ecco comparire un'altra opera, l'albero « migrante », e cioè l'immagine di materia semovente che dalle radici sviluppa un fusto su cui crescono in metamorfosi due stivali per marciare.
Così il mondo capovolto dal gioco delle combinazioni torna al tema vitale della metamorfosi e del movimento mediante il dialogo visivo e immaginario con l'elemento primo della materia bronzea che rovescia abitudini visive e percettive.
«Cuba mon amour»: ultima ma non meno importante dichiarazione di consentaneità viene dalla pattuglia di artisti italiani ospiti del padiglione cubano e non casualmente affini.
La morale di « Hiroshima mon amour » è che la pietra del passato, per quanto tragica e da non dimenticare, non può e non deve ipotecare la vita e la richiesta di futuro. Continuità della memoria e ritmo vitale della speranza : così l'avventura espressiva dei giovani italiani interroga il panorama di rovine della scena contemporanea (di « spazio -spazzatura » ci parla acutamente l'architetto hi-tech Rem Kolhaas) e ne ricava un messaggio di vivida luce oltre l'incombere di un presente vuoto e senza ideali.
Così è per Alessandro Papetti (n.1958) pittore animato da una vocazione « ipernaturalista » e da una attitudine analitica che segnala anche le vibrazioni d'aria metropolitana, negli interni e sulle strade a scorrimento veloce descritte a largo margine come arterie di un flusso senza confini.
Senza confini, lo « spazio spazzatura » di cui sembra ammantarsi il mondo più evoluto della civiltà del benessere si offre ancora allo sguardo come stesura smisurata di « città infinita », cromaticamene narrata da Giorgio Ortona (n.1960) capace di elaborare visivamente le sue profezie nella « prosa » di una narratività lucida e pianamente documentaria.
Accanto a loro la metamorfosi di natura e degrado urbano, di biosfera e chimica primordiale, assiste Alessandro Busci (n.1971) in una continua sperimentazone di tecniche che richiamano visioni lacerate di una materia metallica fredda dai toni aciduli ed elettrizzanti. Il traslato ad esperienze meno razionali, o pure il preciso richiamo ad altre culture, è anch'esso un modo di amare, nella condanna, il magma contaminante e metabolico della « cultura occidentale ». E allora, come Busci indaga sulle possibilità di relazione iconografica tra Oriente e Occidente, Felipe Cardena entra direttamente nel sogno « cartoon » di una figurazione ricavata dal collage a base prevalentemente floreale, dove motivi orientaleggianti servono a spaesare l'osservatore per sottolineare il valore del gioco, della bizzarria, della casualità visiva rispetto al tentativo di trovare un « senso » nel tempo dei grandi « nomadismi » di culture e religioni diverse.
Versatile testimone della manipolazione linguistica, Felipe Cardena fa il paio con lo spirito erratico di Desiderio, altro sperimentatore di scene fotografate, dipinte, e realizzate tramite video ed altre forme di comportamento e di diretto intervento nello spazio. Così certi suoi aerodinamismi scultorei si confrontano con parodie di manifesti propaganda agit-prop (libera citazione dal futurismo russo) e grotteschi collages che segnalano il « blob » della comunicazione visiva contemporanea.
Pienamente adeguato all'immaginario « blade runner » della telematica contemporanea, la visione fantasiosa di Desiderio mima il fondo attonito e sempre coinvolgente della « diretta ».
Così l'ironia, il senso del distacco e la impietosa visione delle esperienze limite della civiltà occidentale, segnano per gli artisti italiani un modo di fare arte che associa con misura e intelligenza l'elemento etico a quello estetico. E da lezioni per nulla ambigue come queste viene una apertura coraggiosa verso il futuro in una straordinaria effervescenza di vita e di cultura che ancora una volta l'incontro con la ospitalità Cuba, e con i testimoni della sua « volontà d'arte », è in grado di offrire e progettare.
Duccio Trombadori
Ufficio Stampa EDIMAR S.R.L.
Dott.ssa Maria Paola Poponi
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